L’avevo perso quando è uscito nelle sale lo scorso anno, forse l’ho volutamente evitato. Il titolo, infatti, prometteva una visione tutt’altro che euforica e consolatoria dell’esistenza: troppo pericoloso per il mio traballante umore. Alla fine mi è capitato di trovarlo in programmazione sullo schermo televisivo e non ho potuto fare a meno di guardarlo. Parlo di Melancholia di L. Von Trier. Non era solo il titolo ad allarmarmi, ma anche quanto avevo già visto della filmografia di Von Trier: non sono mai uscito dalle sale in cui si proiettava un suo film, senza riportare una qualche cicatrice (vi ricordate Le onde del destino o Dancer in the dark
?). E il pronostico si è puntualmente realizzato!
Fin dalle prime immagini il film cattura per la qualità della fotografia, per gli scenari surreali, glaciali, da incubo. E dopo l’ incipit, che toglie ogni illusione su come andrà a finire, il regista inizia a raccontare una storia che trascende il quotidiano, elevando i protagonisti all’altezza del mito, un mito che racconta cosa sia nella sua essenza più profonda la depressione, con le sue molteplice facce, anzi con le due facce di Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg).
Parte prima: è Justine in primo piano, con il suo tentativo disperato di normalità. Dietro la cornice patinata della sua festa di matrimonio, infatti, si intravvedono subito delle crepe, crepe da cui filtra una angoscia sempre più soffocante: l’angoscia che deriva dall’insensatezza di ogni cosa umana davanti alla percezione dell’imminente catastrofe. Ci prova Justine ad investire nella vita e nel futuro, ma in lei è troppo forte la percezione dell’ ineluttabile destino di morte che avanza a grandi passi con le sembianze del pianeta Melancholia.
Parte seconda: è ora Claire, la sorella apparentemente ben adattata, benestante, con un marito ricco e un figlio bello e intelligente, ad offrire il ritratto di un altro lato della depressione, quello ansioso. Claire cerca di esorcizzare l’angoscia del Nulla nell’agire frenetico, un agire che ha il ritmo di una corsa al galoppo, in cui si occupa ora del figlio, ora di Justine… Cerca, così, di ingannare il vuoto con un di gioco di prestigio, come se il frastuono della vita potesse impedire l’avvicinarsi della fine; un gioco di prestigio simile a quello dei passeggeri del Titanic, che continuarono a danzare ad un passo dall’abisso.
E allora Justine e Claire, che insieme aspettano l’impatto di Melancholia tenendosi per mano, è come se insieme costituissero l’immagine completa di quella sindrome ansioso-depressiva, che oggi chiamiamo disturbo bipolare, e che Von Trier conosce nelle sue pieghe più remote.