lunedì 21 marzo 2011

IL CIGNO, IL TAO E IL SESSO


Ho appena visto il film Il cigno nero di Darren Aronofsky, film molto chiacchierato che ha diviso la critica. Dello stesso regista avevo visto Requiem for a dream e The Wrestler. In particolare Requiem for a dream mi aveva fortemente impressionato per la forza delle immagini, le fantasie lisergiche, la denuncia della dipendenza (mediatica o da stupefacenti), alcune intuizioni sul rapporto malato tra una madre e un figlio. Questi temi ritornano nel Cigno nero, ma la storia perde quel realismo da “presa diretta sulla vita” di Requiem for a dream, per diventare storia che continuamente slitta dal piano del quotidiano a quello del simbolico.
Il primo elemento richiamato fin dal titolo è il contrasto dualistico di bianco e nero, opposizione inconciliabile di una esistenza che non conosce la mediazione. Fin da questo primo elemento possiamo intuire la portata simbolica che il regista intende dare alla vicenda della prima ballerina della compagnia, Nina, il cigno bianco, che presto incontra, durante le prove, il suo doppio "nero", Lily. L'incontro-scontro tra Nina e Lily diventa specchio che riflette l'incontro-scontro di Nina con la propria parte "oscura". Non c'è, come nel simbolo del tao, una armonia possibile: o bianco o nero; la vita dell'uno è la morte dell'altro, una dialettica rigida senza possibilità di sintesi superiore: la scoperta del proprio cigno nero coincide con la morte del cigno bianco!
Ma cosa intendono simboleggiare il bianco e il nero?
Il bianco è una sorta di innocenza virginale a cui Nina è costretta da una esistenza divisa tra le prove, vissute come una ossessiva ricerca della perfezione, e una madre invasiva e infantilizzante. Una madre che sulle prime sembra particolarmente affettiva e premurosa, ma che pian piano svela il suo vero volto: una donna tirannica che cerca di realizzare i suoi sogni infranti di ex ballerina tramite la figlia, giocando in modo subdolo il ricatto affettivo "Io ho rinunciato alla carriera artistica per diventare madre!". Questa rinuncia ora le dà il diritto di interferire pesantemente nella vita di Nina, che non ha neanche la libertà di chiudersi nella propria stanza (metafora dell’impossibilità di avere un proprio mondo).
Il nero, invece, è la sessualità, invocata così insistentemente dal regista "luciferino" che vuole fare emergere da Nina "il cigno nero". Il doppio di Nina, Lily, funge da modello e da iniziatrice. Sarà lei a farle scoprire l'estasi (anche in senso chimico) e l'abbandono alla vita sessuale.
Questa iniziazione, però, non è come ci si potrebbe aspettare l'inizio di una positiva evoluzione. In un primo tempo lo spettatore ha questa impressione: Nina inizia ad opporsi alla tirannia materna, a chiudere la porta della sua camera per impedirle l'accesso al suo mondo.
Però, proprio come nella trama del Lago dei cigni che è chiamata ad interpretare sulla scena, la vittoria del cigno nero (la scoperta del suo lato oscuro) coincide con la morte del cigno bianco.
Questa considerazione apre ad una ulteriore chiave di lettura del film: la ricerca ossessiva della perfezione e della bellezza possono innalzare al cielo dell’arte, ma questa coincidenza di arte-vita è fatale, come la biografia di Oscar Wilde ha tristemente insegnato.

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