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sabato 26 ottobre 2013
STUDENTI CON DSA E LA DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA-PERSONALIZZATA
L’attenzione alle differenze di ciascun studente, all’interno di un gruppo classe, è una via percorribile e, allo stesso tempo, auspicabile? La crescente complessità nella composizione della popolazione studentesca sollecita la riflessione pedagogica su questo tema.
Oggi, infatti, le nostre aule scolastiche sono frequentate da studenti disabili (certificati come tali ai sensi della legge 104), studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (segnalati come tali ai sensi della legge 170), studenti con Bisogni Educativi Speciali (che possono fruire delle stesse facilitazioni degli studenti con DSA), studenti demotivati o ripetenti…
Partiamo dalla legge 170/10 (art.2) che prevede, per favorire il successo scolastico degli studenti con DSA, adeguate misure educative e didattiche di supporto e l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata. Cosa si intende per didattica individualizzata e personalizzata? Per provare a dare una risposta, partiamo dal significato di “individualizzato” e di “personalizzato” proposto dalle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento del 2011:
“Individualizzato” è l’intervento calibrato sul singolo, anziché sull’intera classe o sul piccolo
gruppo, che diviene “personalizzato” quando è rivolto ad un particolare discente.
Più in generale - contestualizzandola nella situazione didattica dell’insegnamento in classe -
l’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutti i componenti del gruppo-classe,
ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali dei discenti,
con l’obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle competenze fondamentali del curricolo,
comportando quindi attenzione alle differenze individuali in rapporto ad una pluralità di dimensioni.
L’azione formativa personalizzata ha, in più, l’obiettivo di dare a ciascun alunno l’opportunità
di sviluppare al meglio le proprie potenzialità e, quindi, può porsi obiettivi diversi per ciascun
discente, essendo strettamente legata a quella specifica ed unica persona dello studente a cui ci
rivolgiamo.
(Linee Guida, pag. 6)
Da questo primo passaggio, possiamo desumere che l’ individualizzazione è l’ azione formativa orientata al conseguimento di obiettivi comuni mediante metodologie didattiche adattate “a misura” delle caratteristiche individuali degli studenti; mentre la personalizzazione è l’azione formativa che intende promuovere lo sviluppo delle potenzialità proprie dei singoli studenti, e per questo motivo persegue obiettivi diversi per ciascun studente. In altri termini, si può dire che l’individualizzazione intende garantire l’uguaglianza delle opportunità formative e la parità di esiti rispetto alle competenze fondamentali, mentre la personalizzazione risponde alla necessità di valorizzare i talenti individuali (esigenza tipica nella modernità delle società liberali anglosassoni).
Vediamo ora la definizione di didattica individualizzata e personalizzata proposta dalle Linee Guida.
La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere
l’alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze, anche nell’ambito
delle strategie compensative e del metodo di studio; tali attività individualizzate possono essere
realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le
forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente.
La didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella Legge 53/2003 e
nel Decreto legislativo 59/2004, calibra l’offerta didattica, e le modalità relazionali, sulla specificità
ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe,
considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; si può favorire, così,
l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue ‘preferenze’
e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica
personalizzata si sostanzia attraverso l’impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche,
tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l’uso dei mediatori
didattici (schemi, mappe concettuali, etc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione
degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell’ottica di promuovere un apprendimento
significativo.
La sinergia fra didattica individualizzata e personalizzata determina dunque, per l’alunno e lo
studente con DSA, le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli obiettivi di
apprendimento.
(Linee guida, pp. 6-7)
Vediamo di tradurre in altri termini queste indicazioni. La didattica individualizzata, focalizzata sul raggiungimento di alcuni obiettivi di apprendimento comuni alla classe, si pone il problema di come farli raggiungere allo studente DSA. Se, quindi, l’obiettivo comune per tutti gli studenti della classe è “leggere e comprendere un testo narrativo”, la didattica individualizzata in favore di uno studente DSA è quel processo che promuove l’adozione di una strategia di studio efficace per la comprensione del testo oppure l’utilizzo competente di un software di sintesi vocale per la lettura del testo. La didattica personalizzata, invece, è quella didattica che punta ad accrescere i punti di forza dello studente DSA. Dal momento che lo stile di apprendimento preferito dagli studenti DSA è quello visivo-non verbale, didattica personalizzata è quella che favorisce il Visual Learning (apprendimento basato sulla memoria visiva), ad esempio con l’uso di mappe concettuali multimediali o l’insegnamento di mnemotecniche per immagini.
Siamo entrati, in modo non casuale, nel tema del metodo di studio, che, come afferma C. Cornoldi in un suo articolo sulla rivista Dislessia, rappresenta per gli studenti DSA il primo e più importante strumento compensativo.
Quando viene accertata una condizione di dislessia, c’è sostanziale accordo tra
utenti (pazienti e loro genitori) e clinici sul fatto che da subito debbano essere utilizzati
strumenti compensativi e dispensativi per favorire l’apprendimento scolastico nonostante
l’inefficienza della lettura strumentale…
Lo scopo di questo articolo è quello di dimostrare perché un metodo di studio, che
tenga conto della scarsa efficienza di lettura, debba essere considerato un fondamentale
strumento compensativo eventualmente da affiancare a tutti gli altri, tecnologici e didattici,
indicati nei documenti citati…
Perché uno studente con dislessia ha bisogno di un efficiente metodo di studio?
Sostanzialmente perché rispetto ai suoi coetanei normolettori non può permettersi di
adottare il metodo di studio più diffuso che consiste nel leggere più volte il materiale da
studiare, da cui poter eventualmente ricavare riassunti o schemi scritti più o meno ricchi
di contenuti, da rileggere prima delle verifiche. La sua difficoltà di lettura gli rallenterebbe
non solo i tempi, ma lo affaticherebbe e gli renderebbe precari i processi di comprensione
ed elaborazione del testo.
Ora, a pensarci bene, il lavoro metacognitivo sul metodo di studio è un lavoro di carattere transdisciplinare che potrebbe essere utilmente rivolto a tutta la classe. Gli insegnanti, infatti, normalmente si lamentano delle lacune o insufficienze del metodo di studio dei propri studenti, senza però progettare un percorso finalizzato al miglioramento del loro metodo di studio.
La riflessione e il lavoro sui bisogni educativi speciali,così, acquista senso quando permette di identificare nuclei di conoscenze-competenze importanti per ciascuno degli studenti e di costruire percorsi didattici mirati. Rimanendo all’esempio del metodo di studio, la conoscenza-apprendimento di strategie efficaci nelle diverse fasi dello studio (dalla fase della prelettura a quella della memorizzazione) rappresenta una competenza di vitale importanza per lo studente DSA ma estremamente importante anche per i “normodotati”. È il famoso “imparare ad imparare” di cui in pedagogia si parla da diverso tempo.
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