sabato 27 marzo 2010

Miti di ieri e di oggi



Il mito è innanzitutto narrazione: originariamente narrazione sulla nascita degli dei, del cosmo o dell’uomo (teogonia, cosmogonia e antropogonia). È una narrazione che cerca di spiegare la realtà, le sue radici lontane, nella forma della rivelazione: il poeta parla in nome della divinità, enunciando verità incontestabili, verità che non possono essere discusse, che chiedono di essere accolte con fiducia. Sono verità, quindi, che s’impongono con la forza di una legge di natura e, proprio come le leggi di natura, sembrano non conoscere storia, perché eternamente uguali a se stesse.
Nella storia della cultura greca il mito è quel sapere che fa da sfondo all’emergere del Logos, il discorso razionale della filosofia greca. I fisiologi ( o più comunemente presocratici) guardano la natura e cercano spiegazioni di ordine razionale, ipotizzando un principio primo (arché), non più esterno alla natura (per Talete l’arché è l’acqua, per Anassimandro è una sostanza primordiale indeterminata - apeiron -, per Anassimene l’arché è l’aria). Il trionfo del discorso razionale sarà celebrato da Platone che vede nel mito antico una sorta di favola per spiriti puerili.
Mito e logos provano a spiegare la realtà, ma le due vie sembrano correre parallele. Come dice Galimberti nel suo Dizionario di Psicologia:

Per il mito non c’è realtà che non si risolva nel mondo interiore soggettivo, ampliato e proiettato verso l’esterno, così come non c’è mondo interiore, come realtà psichica del soggetto, che non sia proiettato e reificato in forma di potenze divine. La narrazione mitica vive quindi la soggettivizzazione della realtà esterna e l’oggettivizzazione del mondo interiore. Per effetto di questa saldatura, per il mito non c’è mondo che non si risolva nella visione collettiva del mondo, per cui in ogni mito è possibile leggere una determinata fase di sviluppo della coscienza sociale collettiva. In questo contesto acquista tutto il suo rilievo l’espressione di Eraclito: “Non ascoltando me, ma il logos è saggio convenire che tutto è uno” dove l’esclusione della soggettività e della manipolazione dell’interprete segna il passaggio dal mito al logos, dalla descrizione delle cose per come sono vissute da chi le narra, alla loro descrizione per come si danno.

Laddove il mito soggettivizza la realtà, proiettando e reificando il mondo interiore, il logos costituisce, invece, il tentativo di vedere la realtà nella sua oggettività, a prescindere dall’interprete. Possiamo scorgere, così, nel discorso razionale del Logos l’embrione del pensiero scientifico che vuole emanciparsi dalle affermazioni metafisiche, indimostrabili, per aderire alla realtà nella sua oggettività.
Siamo portati a pensare che il mito sia qualcosa che riguarda il pensiero primitivo, la sua coscienza ingenua, mentre la nostra cultura, radicata nel logos, è convinta di aderire alla realtà per quel che è. Ma se questa convinzione può avere valide ragioni per quanto riguarda la conoscenza della natura, non si può dire altrettanto per quanto riguarda la conoscenza della realtà sociale. Siamo davvero convinti che le nostre conoscenze relative alla realtà sociale siano fondate razionalmente e aderenti a questa realtà?
A questo proposito leggiamo un passaggio tratto da Miti d'oggi di Roland Barthes:

L'intera Francia è immersa in questa ideologia anonima: la stampa, il cinema, il teatro, la letteratura di largo uso, i cerimoniali, la Giustizia, la diplomazia, le conversazioni, il tempo che fa, il delitto che si giudica, il matrimonio a cui ci si commuove, la cucina dei nostri sogni, l'abito che si indossa, tutto, nella nostra vita quotidiana, è tributario dell'immagine che la borghesia si fa e ci fa dei rapporti tra l'uomo e il mondo.

Il "mito", in Barthes, è costituito da tutti quei significati secondi o connotazioni che poggiano sul primo livello della significazione, il livello denotativo. Così, la foto di un soldato di colore che saluta la bandiera francese può essere letta: 1) un semplice gesto di fedeltà; 2) "la Francia è un grande Impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera". E' questo secondo livello, per molti versi "implicito", a naturalizzare le forme e i rituali delle società borghesi contemporanee. Il mitologo deve, quindi, saper leggere questo sistema semiologico secondo in modo da evidenziarne la natura storica e ideologica.
Nel saggio intitolato Per Marx Louis Althusser spiega il concetto di ideologia in questi termini:

L'ideologia ha ben poco a che vedere con la 'coscienza' (...). Essa è profondamente inconscia (...). L'ideologia è sì un sistema di rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non hanno il più delle volte nulla a che vedere con la 'coscienza': per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture, e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso la loro 'coscienza'. Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro.

Tramite questo processo di naturalizzazione l'ideologia può riprodursi e dare l'impressione di essere qualcosa al di fuori della storia.
La questione cruciale, a questo punto, è capire quali ideologie specifiche prevarranno in un dato momento, in una data situazione, e di quali gruppi e di quali classi rappresenteranno gli interessi. La distribuzione del potere, infatti, non è certo omogenea.
Nell' Ideologia tedesca Marx esprime in modo chiaro il rapporto tra idee dominanti e gruppi dominanti nella società:

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale.


La validità di queste affermazioni risulta chiara se pensiamo, ad esempio, alle possibilità di accesso ai mass media. E' indiscutibile, infatti, che certi gruppi sociali siano in una posizione favorevole per produrre e diffondere le proprie definizioni del mondo.
Ritornando alla domanda sulla presunta razionalità della nostra conoscenza della realtà sociale, possiamo ora tentare una risposta.
Viviamo immersi in un complesso di idee che formano la nostra visione del mondo, idee che molto spesso diamo per scontate, come se fossero la “naturale” rappresentazione della realtà. È proprio questa naturalità ed assolutezza a renderle mitiche, indiscutibili. È necessario un processo di demitizzazione, il recupero di un pensiero critico che sappia mettere tra parentesi le idee del nostro tempo.
Galimberti nel suo bel saggio I miti del nostro tempo ci invita proprio alla cura delle idee, problematizzando le idee mito del nostro tempo. Visioni sbagliate del mondo, infatti, generano sofferenza.

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