sabato 27 febbraio 2010

KhoraKhanè e Tzigari: storie Rom



Questa canzone di Fabrizio De Andrè parla dei Rom, in particolare i Khorakhanè (alla lettera: "Amanti del Corano"), una tribù rom musulmana di origine serbo-montenegrina.
Lo sguardo poetico di De Andrè racconta con delicatezza e profonda empatia i vissuti recenti e lontani di questa gente, che ha fatto del nomadismo il proprio modo d'essere.
Durante il concerto al Teatro Valli di Reggio Emilia del 6 dicembre 1997, De Andrè presenta così al pubblico la sua canzone:
« Gli zingari girano il mondo da più di duemila anni, se vogliamo credere a Erodoto. Questi Rom, questo popolo libero è affetto da dromomania, cioè desiderio continuo di spostarsi. Non credo abbiano mai fatto del male a qualcuno, malgrado le strane dicerie; è vero che rubano - d'altra parte non possono rinunciare a quell'impulso primario presente nel DNA di ciascun essere umano: quello al saccheggio, di cui abbiamo avuto notizie in queste ultime amministrazioni - però non ho mai sentito dire che abbiano rubato tramite banca. Inoltre non ho mai visto una donna Rom battere un marciapiede. Girano senza portare armi; quindi se si dovesse dare un Nobel per la pace ad un popolo, quello Rom sarebbe il più indicato.»
Nel testo della canzone si fa riferimento anche allo sterminio di zingari nei campi di concentramento ("i figli cadevano dal calendario Jugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti e tutti buttavano via")
Spesso dimentichiamo che i campi di sterminio hanno ingoiato nel loro ventre maleodorante non solo milioni di ebrei, ma anche migliaia di zingari.
Accomunati agli Ebrei da uno stesso destino di morte furono almeno mezzo milione gli Zingari che persero la vita nei campi di sterminio nazisti. Ma è come se il vento ne avesse disperso la memoria.
Eppure le sofferenze patite dai Rom e dai Sinti sono state terribili. Essi furono perseguitati, sterilizzati in massa, usati come cavie per esperimenti, ed infine destinati alle camere a gas ed ai crematori. Oltre ventimila vennero uccisi nel solo Zigeunerlager, il campo loro riservato ad Auschwitz-Birkenau, tra il febbraio 1943 e l’agosto 1944. Malgrado ciò nessuno zingaro venne chiamato a testimoniare nei processi ai gerarchi nazisti, neppure a Norimberga.
La canzone di Andrè, che si chiude con i versi in Romanes di Giogio Bezzecchi (Rom harvato cioè Croato), ci racconta una storia di gente che da sempre fa i conti con l'essere "altro" rispetto alle genti stanziali, quelle che occupano un territorio e fanno dell'equazione "un popolo- un territorio" il perno della propria identità. Durante la loro lunga storia questa gente nomade ha conosciuto diffidenza e più spesso odio, riuscendo però a mantenere un profondo legame con la vita ("e poi Mirka a San Giorgio di maggio tra le fiamme dei fiori a ridere a bere e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi e dagli occhi cadere"). Ma quella dei Rom è perlopiù una storia sconosciuta, perché i Rom non usano conservare la memoria in forma scritta("saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura")
Costituisce una eccezione la storia di Tzigari, la storia di un rom italiano che diventa fascista, sfugge alla deportazione nazista e combatte nella Resistenza. Sembra la rocambolesca trama di un film, e invece è la storia vera di Giuseppe Levakovich, detto Tzigari, una storia proposta in un bel film documentario da History Channel che s'intitola "TZIGARI, UNA STORIA ROM."
Il documentario, diretto da Paolo Santoni, racconta l’incredibile vita di Levakovich, rom italiano vissuto a cavallo delle due guerre mondiali, svelando pagine inedite della persecuzione razziale fascista e della partecipazione dei rom alla guerra di resistenza. Poco si sa del Porraimos, letteralmente "divoramento" nella loro lingua, lo sterminio, e della sorte di migliaia di rom e sinti italiani che furono internati nei campi istituiti dal regime fascista.
Ma nella cultura rom, come dicevamo, non esiste una memoria scritta, anzi, scrivere delle sofferenze subite è considerato un gesto quasi sacrilego. Tzigari ha fatto eccezione, e negli anni ’70 ha deciso di raccontare ai gaje, ai non zingari, ciò che era accaduto, perché l’umanità non dimenticasse.

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