C'è chi sfugge l'alterità per le problematicità che pone e chi accetta la sfida. Questo spazio virtuale è dedicato a chi cerca di vincere le proprie paure e le proprie difese e si confronta con l'altro nella convinzione che questa è la strada per diventare sempre più umano.
lunedì 5 luglio 2010
BROTHERHOOD
È nelle sale di prima visione “Brotherhood” l’opera prima del regista danese, Nicòlo Donato, vincitrice del Marc’Aurelio d’Oro allo scorso Festival del Film di Roma. Il regista di origini italiane, uscito dalla scuola Zoetrope di Lars Von Trier, firma una pellicola coraggiosa e coinvolgente su un tema molto delicato: l’omosessualità in ambienti di estrema destra. La storia raccontata da Donato mette infatti in primo piano la vita di un gruppo neo nazista che pratica "simpatici" passatempo come picchiare omosessuali la sera, andandoli a cercare nei loro abituali luoghi di ritrovo, o, in alternativa, qualche malcapitato pakistano. La diversità dà fastidio... Nella caccia all’omosessuale possiamo cogliere quel meccanismo di difesa (denominato da M.Klein “identificazione proiettiva”), tramite cui si proietta sull’altra persona (il diverso) una parte rifiutata e negata del proprio Sé, così che – una volta proiettata e identificata in lui – possa in lui essere negata, violentata, uccisa. L’altra persona diventa lo schermo su cui proiettare, identificare, aggredire il fantasma dei propri mostri interni, come se nell’altra persona si aggredisse, violentasse, uccidesse se stessi, la parte più profonda e negata di sé, quella che non si vuole far accedere alla coscienza.
Così Jimmy, il duro del gruppo nazi, quello che adesca il ragazzo omosessuale per poi riempirlo di botte insieme agli altri del gruppo, si rivelerà nel corso del film sensibile alla seduzione di Lars, un giovane militare allontanato dall'esercito dopo uno scandalo di natura sessuale. Tra le scene iniziali del film c’è proprio il rifiuto da parte di un superiore di una promozione promessa a Lars: “Alcuni soldati ci hanno riferito delle tue attenzioni particolari nei loro confronti…metteremo a tacere la cosa se rifiuti l’incarico!”. La carriera stroncata fa irritare i familiari di Lars, una famiglia alto borghese che ostinatamente non ascolta Lars, le sue ragioni, ma anzi gli “impone” un ulteriore tentativo nella vita militare, ricorrendo a delle conoscenze. Questo muro di incomprensione, insieme alla noia per una vita banale, spingono Lars ad accettare l’invito di “Chilo”, il capo dalla faccia pulita del gruppo nazi.
Ma perché Lars, che sa di essere omosessuale e tutto sembra fuorché nazista, entra nel gruppo? Il regista risponde alla domanda dicendo: “Lo fa perché in casa non lo rispettano, sua madre vuole che sia come vuole lei, il padre è praticamente assente, e lui ha bisogno di una famiglia e di amore. All’inizio è attratto dal gruppo perché vede che si divertono, sono una specie di famiglia, e poi incontra Jimmy. E’ lui la figura paterna forte che non ha a casa, e di cui ha bisogno. E poi se ne innamora. Non è che voglia essere nazista, ma ha bisogno di un gruppo di riferimento, in cui sentirsi apprezzato. Non riceve queste cose dalla sua famiglia. Quindi la sua è una decisione razionale: entra a far parte di un gruppo dove lo fanno sentire in qualche modo importante e rispettato”.
Questa ricerca di una appartenenza alternativa a quella familiare è raccontata nel film in modo esplicito: quando Lars litiga definitivamente con i genitori per la loro intromissione nelle sue scelte (la madre procura un appuntamento per il lavoro a Lars senza che lui l’abbia chiesto), Lars andrà ad abitare con il suo “mentore” Jimmy.
Jimmy e Lars vivono in una casetta da ristrutturare vicino al mare, un luogo destinato alle attività del gruppo neo nazista. Ma nella convivenza, nello spirito cameratesco, nelle lotte corpo a corpo, nel fare il bagno nudi, nasce quella intimità dei corpi che con una certa “naturalezza” porta i due alla fusione erotica e sessuale.
Sarà il fratello di Jimmy, testimone casuale di un rapporto tra i due, a denunciare il “misfatto” a Chilo. Scatta così la vendetta del branco…
Questa storia d’amore omosessuale riporta alla mente il bel film di A.Lee “I misteri di Brokeback Mountain”. L' accostamento può sembrare indebito se ci si ferma allo stile narrativo: A.Lee, infatti, racconta la sua storia d’amore con immagini ad alta definizione, sullo sfondo di magnifici paesaggi naturali; mentre Donato parla un linguaggio asciutto quasi documentaristico. Ma in entrambi i film nasce una storia d’amore tra uomini, laddove i nostri stereotipi porterebbero ad escludere questa possibilità: tra cow boys e neo nazisti, personaggi icona del vero maschio. Proprio la sensazione di “inatteso” (ciò che è atteso è "luogo comune"), porta ad interrogare gli stereotipi: nel nostro immaginario l’omosessuale è “gay”, effeminato, con movenze molli, stilista o parrucchiere. È quello il suo posto nell’ordine sociale…non certo nell’esercito o dove si tengono a bada mandrie di animali!
Che questa immagine stereotipata dell’omosessualità sia ben lontana dall’essere “naturale”, ce lo dice il fatto che nell’antica cultura greca, l’omosessualità era praticata dagli uomini considerati più virili. Socrate, ad esempio, è citato da più fonti come esempio di eroismo in guerra, instancabile, coraggioso, omosessuale-eterosessuale insieme…Si, omosessuale e padre di famiglia, altra infrazione ai nostri stereotipi che vogliono perfettamente “classificare” la natura umana in categorie impermeabili...
Allora, questo film merita attenzione sia per il tema indagato sia per la qualità dello sguardo su questi territori di confine, uno sguardo che racconta in modo essenziale una storia d’amore tra uomini, con una presa sulla realtà che fa pensare al documentario.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
l'ho visto ieri sera e l'ho apprezzato. Condivido la recenzione. Ciao Max. Stefano
RispondiElimina