mercoledì 21 luglio 2010

I CINQUE PASSI


I CINQUE PASSI
LA PSICOLOGIA INTEGRATIVA DI R.BENINI


Nel suo ultimo saggio I cinque passi (2010)R.Benini, psicologo e psicoterapeuta, individua un percorso di crescita verso l’autorealizzazione che si articola in diversi passaggi o, come dice lui, in cinque passi

Succede tutto all’improvviso. Senza che l’uomo lo chieda, senza comprenderne il senso e senza nessun preavviso, egli viene “buttato” nel mondo. All’inizio la sua situazione è talmente precaria che, privato dell’aiuto degli adulti, tornerebbe velocemente alla condizione di partenza… Per gli altri, invece, inizia una lotta per la sopravvivenza che li spinge a cercare adeguate forme di adattamento all’ambiente di vita. Ciò può avvenire realmente solo quando l’uomo diventa “padrone” delle proprie risorse fisiche e psichiche, che può utilizzare per conoscere il mondo esterno e i suoi abitanti e per affrontare le richieste e i cambiamenti esistenziali.
Il primo grande compito dell’uomo… è quello di conoscersi per poter scegliere quali strategie utilizzare quali strategie utilizzare per raggiungere gli obiettivi elencati sopra. Per realizzare tutto ciò, è necessario che, durante la crescita, e comunque per il resto della vita, egli venga aiutato ad accettare la precarietà della sua condizione, a integrare tutte le sue parti interne…, a soddisfare i bisogni di ognuna di esse, a non scappare davanti alle angosce esistenziali e a costruire personali forme di adattamento.” (op.cit.,p.23)

Vediamo in dettaglio i cinque passi…

Primo passo: accettare la condizione umana
Benini parte da una considerazione di carattere filosofico che echeggia l’esistenzialismo sartiano: l'uomo si trova come gettato nel mondo, indipendentemente dalla sua volontà. L'uomo si trova dunque nello stato di non poter rifiutare la sua esistenza: l’ esistere nel mondo e il relazionarsi con esso rappresentano una necessità che ciascun uomo non può eludere. Inoltre, come dice Sartre, non esiste alcun Dio in grado di garantire e di attribuire un preciso e determinato significato al mondo. La condizione umana è, quindi, vissuta come realtà necessaria, in cui ci si ritrova ma senza avere alcuna garanzia di senso.
L’uomo, così, vive con una domanda di senso alla quale molto spesso non riesce a dare risposta: “Imparare a vivere, senza conoscere il reale significato dell’esistenza, è un compito tutt’altro che facile e lo è ancor di più quando chi ci cresce è una persona, a sua volta, estremamente confusa e spaventata.” (ibidem , p. 32). Benini è scettico riguardo la possibilità di risolvere il problema che nasce con la coscienza della morte (per lui è un quesito insolubile, perché in vita non abbiamo esperienza della morte, pensiero che ricorda le parole della Lettera a Meneceo di Epicuro “il più terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo più”), e postula che il senso dell’esistere possa essere trovato in un processo diretto verso l’autorealizzazione, nel quale si riesce a raggiungere un elevato livello di adattamento fondato sul rispetto di sé, degli altri e dell’ambiente in cui si vive. È il senso che deriva dalla pienezza dell’esserci: “Per fare ciò l’uomo deve soddisfare i propri naturali bisogni, lottare contro le paure e adeguarsi alle leggi dell’adattamento: obiettivi tutt’altro che impossibili, se la società d’appartenenza e gli adulti di riferimento, invece di perdersi dietro quesiti insolubili o di rincorrere i paradisi dell’aldilà, insegnassero ai loro piccoli l’amore per la vita e per i propri simili.” (ibidem, p. 32)
In definitiva accettare la condizione umana significa accettare di vivere nell’incertezza: “Al di là di quelle che possono essere le visioni drammatiche dell’esistenza…è chiaro che l’unica strada da percorrere è quella di aiutare l’uomo ad accettare la propria condizione (ambientale e relazionale), tappa fondamentale per poterla vivere pienamente e, in alcuni casi, anche per riuscire a modificarla.” (ibidem, pp.33-34)


Secondo passo: integrare le tre menti
Benini riprende a proposito di questo “secondo passo” la teoria dei tre cervelli”, formulata per primo da Maclean (Evoluzione del cervello e comportamento umano, Torino, Einaudi, 1984), secondo cui esistono tre tipi di cervello ben distinti per caratteri neurofisiologici e competenze psichiche e differenziati per origine ed età filogenetica: rispettivamente sono denominati come paleoencefalo o cervello rettiliano, cervello paleomammifero o sistema limbico; cervello neomammifero o neocorteccia.
Il cervello rettiliano presiede alle forme di comportamento ripetitive, geneticamente stabilite, secondo programmi rigidi che non accettano il cambiamento. In un certo senso, secondo Maclean siamo nell’ambito della “coazione a ripetere” di cui parla Freud.
Il sistema limbico, invece, permette ai mammiferi di ricevere segnali sia dall’ambiente esterno che da quello interno e di adattarsi meglio all’uno e all’altro. Funzionando come trasmettitore d’informazioni che provengono dall’esterno e dall’interno, ci rende certi della “separatezza” da ciò che è altro da noi e della “convivenza” con noi stessi che dura tutta la vita. In altri termini, con questo cervello emerge la coscienza di sé.
Infine la neocorteccia è per Maclean il cervello che è “capace di leggere, scrivere e far di conto”. La neocorteccia è orientata verso il mondo esterno, da cui riceve le informazioni e rispetto al quale elabora delle mappe articolate. Inoltre, è capace d’innovazione, sa progettare soluzioni anche di fronte a problemi inediti e prevedere le conseguenze delle proprie scelte.
Benini riformula la teoria dei tre cervelli, parlando di compresenza di tre menti, espressione dei diversi livelli evolutivi raggiunti: la mente biologica, che guarda la sfera istintuale; la mente psicologica, che permette la nascita della coscienza di sé; la mente sociale, che dà origine all’empatia e alla conoscenza degli altri. Queste menti, per Benini, si collocano ognuna in una diversa fase dello sviluppo ontogenetico e filogenetico, e in assenza di una buona integrazione tra loro si viene a creare una situazione caotica e conflittuale. L’uomo integrato è colui che riesce ad armonizzare le diverse menti, rispondendo ai diversi bisogni che ogni mente chiede di soddisfare.
La mente biologica chiede risposta ai bisogni di autoconservazione (uomo biologico); la mente psicologica origina i bisogni di conoscenza di sé (uomo psicologico): la mente sociale, infine, dà vita ai bisogni di relazione (uomo sociale): “L’uomo integrato, a seconda delle richieste esistenziali, sarà perciò in grado, volta per volta, di coordinare gli “uomini” interni e di utilizzare quello maggiormente adatto alla situazione, muovendosi spinto dal bisogno di autorealizzazione.


Terzo passo: riconoscere e soddisfare i bisogni umani
Benini riprende la teoria dei bisogni umani formulata da Maslow (Motivazione e personalità, Roma, Armando, 1973), riadattandola in forma originale.
Maslow dispone i bisogni conativi all’interno di uno schema piramidale:
i bisogni di base sono definiti fisiologici e riguardano ad esempio la fame e la sete; seguono un gradino sopra i bisogni di sicurezza, quei bisogni che ci fanno avvertire l’esigenza di un mondo sociale ordinato retto da leggi; un gradino più in alto troviamo i bisogni di appartenenza e affetto, quel bisogno che ci spinge verso le relazioni umane interpersonali (ad esempio si desidera l’amicizia o appartenere ad un gruppo); al quarto gradino ci sono i bisogni di stima che riguardano la stima di sé e la stima degli altri; infine nel gradino più alto si trovano i bisogni di autorealizzazione che implicano la realizzazione del proprio potenziale (ad esempio, per chi ha talento per la musica l’autorealizzazione è diventare musicista).
La soddisfazione dei bisogni più bassi nella piramide permette di avvertire i bisogni più elevati. La frustrazione di bisogni importanti produce patologia.
Benini utilizza la metafora dell’albero al posto della piramide: alla base dell’albero si collocano i bisogni di autoconservazione che riguardano la sopravvivenza fisica (bisogni biologici- es. mangiare, bere, dormire; bisogni di cura del corpo)e psicologica (bisogni di sicurezza – es. vivere in un territorio sicuro - e curare la psiche); all’altezza dei primi rami ci sono i bisogni di autodeterminazione (conoscenza di sé) che fanno riferimento al bisogno di costruire confini psichici, di essere nutriti affettivamente, al bisogno di autonomia e di dipendenza; più in alto troviamo i bisogni di relazione che riguardano tutta la sfera dell’interazione sociale ( bisogni legati al riconoscimento –essere riconosciuti e riconoscere- e al vivere attivamente nei gruppi sociali di riferimento); in cima all’albero si trovano i bisogni di autorealizzazione con i quali si approfondisce la comprensione del proprio mondo interiore e dell’ambiente in cui si vive, si esprimono le proprie potenzialità e si contattano liberamente le proprie emozioni.


Quarto passo: non scappare davanti alle angosce esistenziali
La frustrazione sistematica dei bisogni produce angoscia: le angosce psicotiche derivano da una profonda frustrazione dei bisogni legati all’autoconservazione ( angoscia da frammentazione e da persecuzione) e producono una deformazione della realtà oggettiva; le angosce narcisistiche (angoscia da annullamento e da abbandono) derivano dalla frustrazione dei bisogni di autodeterminazione e conoscenza di sé, e producono una deformazione della rappresentazione di sé e degli altri; le angosce nevrotiche (angoscia da rifiuto e da emarginazione), infine, derivano dalla frustrazione dei bisogni di relazione e producono una deformazione dei contenuti emotivi e/o cognitivi. Bisogna notare che il rapporto tra bisogni e angoscia è inversamente proporzionale: all’aumentare della soddisfazione dei bisogni diminuisce l’angoscia.
“Un bambino cresciuto nell’angoscia viene costretto a prendere le distanze, senza averne consapevolezza, dai propri reali bisogni e viene indotto a sostituirli, a seconda del tipo di angoscia presente, con falsi bisogni familiari e sociali; nei casi più gravi esso si ritrova preda di patologie croniche sia psicologiche che fisiche.” (ibidem, p.79)


Quinto passo: costruire un personale adattamento alla vita
L’ultimo passo del percorso evolutivo per Benini è costituito dalla costruzione di un personale adattamento alla vita, basato su tre “leggi”:
• La legge dell’equilibrio: riguarda la capacità omeostatica dell’organismo di trovare nuovi equilibri in base ai cambiamenti;
• La legge della comunicazione riguarda la capacità di mettere a contatto l’ambiente interno (le tre menti) e l’ambiente esterno (fisico e relazionale) e di decodificare in modo corretto i segnali provenienti da dentro e da fuori;
• La legge del sintomo insindacabile: il sintomo si presenta ogniqualvolta l’uomo non è in grado di rispondere correttamente alle altre due leggi; il sintomo cioé segnala un disadattamento, un disequilibrio, una incomunicabilità.
Per costruire forme di adattamento soggettive e realistiche alla vita: “… è necessario raggiungere una buona conoscenza delle leggi dell’adattamento umano e acquisire la capacità di applicarle in modo elastico e individuale” (ibidem, p.117)




Conclusioni
Benini ci ricorda in diversi passaggi del suo saggio che questo percorso di crescita è molto spesso ostacolato dalla cultura d’appartenenza e da pratiche educative incapaci di dare risposta ai bisogni più autentici del bambino e della persona.

Mettere al mondo un bambino non comporta dotarlo magicamente della capacità di amare la vita e di riuscire a darle significato. Queste risorse, infatti, vanno educate e sviluppate nel piccolo già durante la crescita e nell’adulto per il resto dell’esistenza. Abbiamo imparato, però, che in presenza di società immature e “bramose”, di adulti angosciati e di ideologie e religioni più attente a castrare l’uomo che non ad avvicinarlo amorevolmente ai suoi bisogni, si possono determinare nell’individuo situazioni esistenziali di sofferenza…Per non perpetuare “il grande inganno” è perciò necessario che l’uomo impari a prendersi cura di sé e delle sue molteplici angosce. Ciò si realizza insegnando all’individuo a “guardarsi dentro”, per aumentare la conoscenza che esso ha di sé e per mettere in discussione tutti i comportamenti disadattivi o contro natura…Quel che è certo è che se l’uomo moderno continuerà a vivere nell’infantile illusione che sia sufficiente un farmaco, oppure il miglioramento della propria immagine, o anche l’accumulo di beni di consumo per debellare le angosce esistenziali, rischieremo di assistere nei prossimi anni, a un ulteriore “imbarbarimento” dell’esistenza. La sciagura più terribile che può colpire l’essere umano, infatti, è quella di perdere se stesso e di smarrire le risorse psicologiche e sociali indispensabili per riempire di significati la propria vita e per rimanere “attaccati” alla propria realtà.
(Ibidem, p.120)

In linea con l’insegnamento di Freud che in Il disagio della civiltà mette in rapporto la sofferenza psicologica individuale con la società e la cultura del tempo, Benini mette in evidenza come dietro il crescente malessere della psiche (sconcertanti sono i dati che riporta nel saggio a proposito del crescere della patologia depressiva) c’è una società incapace di offrire valori e direzioni di senso utili per una piena realizzazione umana. La responsabilità della via d’uscita è in primo luogo nelle mani di coloro che svolgono compiti educativi e a loro, in primo luogo, è destinato questo saggio.

2 commenti:

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  2. complimenti in assoluto, non sono i numeri che contano...

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