venerdì 31 maggio 2013

I nuovi luoghi dell’ esclusione

A metà degli anni 70, frequentavo il Liceo “Pacinotti”, a Cagliari. Dai piani alti dell’edificio, lo sguardo superava il muro di cinta e cadeva all’interno dell’ ospedale che confinava con il mio Liceo: l’ospedale psichiatrico di Villa Clara (più comunemente chiamato “manicomio”). Negli ampi cortili si muovevano, lente, persone magre, con pochi stracci addosso, spesso nude, che si masturbavano in modo compulsivo. Ho saputo più tardi che questi luoghi non erano luoghi di cura, ma luoghi di detenzione o, peggio, di tortura. In quegli anni, inoltre, nelle scuole i disabili e le persone con disturbi mentali non si vedevano, erano “invisibili”, almeno nelle classi frequentate dai "normodotati". In generale, quindi, le persone “diverse” per anomalia genetica, deficit cognitivo o malattia mentale erano tenute distanti, conducevano esistenze parallele.
Alla fine degli anni 70, in Italia si è realizzata probabilmente l’unica rivoluzione culturale che ancora oggi fa sentire i suoi effetti, una rivoluzione che in gran parte dobbiamo al pensiero e all’azione di Franco Basaglia. Nel 1978 il Parlamento approvò una legge (legge 180)che decretava la chiusura di quei luoghi dell’orrore, dove non si curavano le persone, ma le si teneva in prigionia. Anche nella scuola gradualmente, a partire dal 1977, sono cadute le barriere e dal 1992 abbiamo una legge (legge 104) che garantisce l’integrazione delle persone disabili nella scuola pubblica. Tutte quelle persone tenute fino a quel momento distanti o chiuse in luoghi separati, sono entrate nei luoghi di tutti, i luoghi frequentati dalle persone “normali”, guadagnando sempre più i diritti fino ad allora negati (il diritto all’educazione, ad essere curati …). Possiamo immaginare questo percorso verso l’integrazione come un percorso di avvicinamento: da luoghi separati, distanti, ai luoghi di tutti. Così, è successo nella scuola…
Questo processo è ancora in corso! Non basta abbattere vecchi recinti, spesso se ne creano di nuovi, inaspettati, magari a partire da buone intenzioni. Ecco, allora, trovare nella scuola pubblica spazi attrezzati per il sostegno o laboratori di varia natura che, in nome della didattica individualizzata, ricreano separazione. Difficilmente si riesce a creare momenti e spazi di incontro effettivi tra studenti disabili e “normodotati”; così, ognuno conduce perlopiù vite scolastiche parallele, all’interno dello stesso contenitore. E, magari, quando si promuove una iniziativa che favorisce un processo di avvicinamento reale (ad esempio, un laboratorio aperto a tutti gli studenti e non solo ai disabili), gli insegnanti che “rinunciano” alle loro ore di insegnamento della disciplina fanno resistenza: si porta via del tempo utile...
Siamo abituati ad associare al termine disabile una carrozzina e a concepire gli ostacoli sul percorso di un disabile come ostacoli fisici. Ahinoi! Gli ostacoli peggiori per l’integrazione vengono da una cultura che non riesce a fare i conti con la differenza dello studente disabile, con la complessità che questo incontro genera, e preferisce dare una delega totale allo specialista (insegnante specializzato di sostegno), in grado di fare un intervento individualizzato, in qualche luogo ben attrezzato, da qualche altra parte!

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