lunedì 13 maggio 2013

TI AMO PER COME SEI



L’affermazione “ti amo per come sei!” può sembrare banale, ma, al contrario, credo meriti una riflessione. Proviamo a partire dalla teoria della personalità di Carl Rogers. In termini molto generali, si può dire che Rogers consideri la salute psicologica come risultato della congruenza tra ciò che si è veramente e il concetto di sé. In altri termini, se la rappresentazione di sé coincide con ciò che si è, se si è autentici (cioè si appare per quel che si è), allora si gode di una buona salute psicologica; altrimenti, se si è incongruenti, la salute psicologica è a rischio o già compromessa (siamo in presenza di qualcosa di molto vicino al Falso sé di cui parla Winnicott).
Come si determina l’incongruenza? È il frutto avvelenato dell’amore condizionato, di quell’amore che si può riassumere nella formula “ti amo, se…”; ad esempio, “ti amerò (o ti vorrò bene), se farai il bravo!”. L’esempio citato ci porta in quella dimensione che costituisce la matrice dell’amore condizionato: il rapporto con i genitori, con la madre in primo luogo. Amare i propri figli per come sono, significa uscire dalla presunzione di sapere in partenza qual è il bene del proprio figlio. Amare i propri figli per come sono, implica conoscerli, sapere chi sono perché li si interroga e si ascolta la risposta.
Il caso limite che rende chiaro questo discorso è quello di certi genitori di bambini o ragazzi disabili. Succede spesso, a coloro che lavorano con i disabili, di incontrare genitori che sono totalmente o parzialmente incapaci di vedere e accettare i limiti del proprio figlio e pretendono il raggiungimento di obiettivi educativi e didattici impossibili. In questi casi si dice che i genitori non hanno elaborato il lutto per il figlio idealizzato, quel figlio immaginato durante i nove mesi della gravidanza. È troppo doloroso, in certi casi, accettare la realtà e semplicemente la si nega.
Ma il caso della disabilità mette in risalto una dinamica che è ben più diffusa e che si può riassumere con la formula: “non ti amo per come sei, ma per come vorrei che tu fossi!”. Proviamo a vedere nel concreto quali sono le implicazioni: se, ad esempio, la rabbia di un bambino viene accolta come qualcosa di mostruoso e sanzionata duramente, cosa succederà? Il bambino gradualmente rimuoverà la rabbia. La stessa cosa può accadere con il dolore o la paura: è questo il caso dell’educazione dei maschietti, che normalmente tollera poco l’espressione di queste emozioni (ad esempio, “piagnucoli come una femminuccia!”). Così, gradualmente si costruisce una rappresentazione di sé dove queste parti devono scomparire, inabissarsi, non farsi più vedere: ecco la genesi dell’incongruenza! Nel tempo queste parti non si vedono più, ma diventano sintomi di malessere psicologico.
Questa incapacità di amare è qualcosa che, nel tempo, oltrepassa il rapporto genitori e figli. Questo imprinting affettivo, infatti, condizionerà la relazione di coppia e, poi, quella con i propri figli. Così, si incontreranno persone scontente del proprio partner che “dovrebbe essere in un certo modo!”, o persone insoddisfatte dei propri figli che “sono una delusione!”. Ma si può essere delusi, solo se prima ci si è illusi: illusi che la persona che si ha davanti debba corrispondere all’immagine idealizzata che abbiamo costruito.
“Mi amo per come sono/ti amo per come sei!”, allora, è la prima grande lezione d’amore che è necessario imparare.

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