sabato 11 maggio 2013

IL SUICIDIO AI TEMPI DI NARCISO

Nella cronaca degli anni della Grande Crisi, emerge con forza il tema del suicidio. Qual è il legame di senso tra Grande Crisi e suicidio? Quanto entra la cultura profonda di una società nella psicologia individuale? Il suicidio è un fatto “naturale”?
Proviamo a partire da questa ultima domanda. Nel comportamento animale il suicidio è praticamente assente. Qualcosa di simile al suicidio è il sacrificio per il bene della propria prole o del gruppo sociale cui si appartiene ( è il caso, ad esempio, delle termiti kamikaze). Questo comportamento, però, sembra rientrare nella lotta per tramandare il proprio patrimonio genetico. Niente di simile al suicidio umano…
Quando non si riesce a trovare la radice di un comportamento come il suicidio nel comportamento animale, allora è necessario guardare alla cultura, la “seconda natura” dell’uomo. Passiamo così alla seconda domanda: quanto entra la cultura profonda di una società nella psicologia individuale? La risposta lapidaria è: molto. La topica freudiana sottolinea con forza come il Super Io sia una istanza generata dall’interiorizzazione dei divieti, in primo luogo quelli familiari. È proprio dallo scontro tra Super Io, giudice e censore, ed Es, l’istanza pulsionale, nasce la nevrosi. Ma oggi? Oggi il rigido censore che condanna la sessualità è morto e sepolto e lo scambio tra libertà e sicurezza, di cui Freud parla in Il disagio della civiltà, si è risolto a favore della libertà. Questo significa che non esiste più il giudice interno? Il giudice interno esiste, è vivo e vegeto, ma sono totalmente cambiati i valori di riferimento in base ai quali valuta, emette le condanne e le esegue. Oggi il parametro in base al quale il giudice condanna è il successo, dove questo termine va declinato nel senso della visibilità: si ha successo quando si corrisponde all’immagine vincente che la nostra cultura consumistica promuove e quando disponiamo dei segni visibili di questa vittoria ( un buon lavoro, una bella casa…). Il fallimento nella realizzazione di questo obiettivo sociale è la colpa più grave, la colpa che ci condanna ad essere “nulla”: ci condanna a morte! Il suicidio, in questo senso, è una condanna a morte decretata dalla cultura dell’apparire per tutti coloro che non riescono ad oltrepassare la soglia di una certa visibilità. È la colpa di Narciso ferito e sanguinante!
Passiamo all’ultima domanda: qual è il legame di senso tra Grande Crisi e suicidio? La Grande Crisi produce in vari modi il contesto culturale-esistenziale della disperazione (vedi L’epoca delle passioni tristi di Benasayag-Schmit). Il paradigma di pensiero su cui si è retta la nostra cultura (crescita, consumo, benessere diffuso…) è scosso alle radici e la possibilità di realizzare il sogno consumista si è infranto per milioni di persone. Queste milioni di persone, ora, vagano in solitudine (il mirabile prodotto di qualche decennio di liberismo), in un mondo dove ognuno vive il suo inferno privato e fa i conti con il suo fallimento! Ogni possibilità di canalizzare il malessere in una azione politica sembra essere fuori portata…Non resta che il nulla!

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